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Se analizziamo a fondo la società piacentina, ci troviamo di fronte ad una città profondamente divisa al proprio interno. Non è semplice risalire alle cause di questa situazione, ma se ritorniamo alla ricerca de “Il Sole 24 ore” del 2011, troviamo, nella classifica della felicità percepita, Piacenza al penultimo posto delle città italiane.
Questo non ci stupisce, perché dove c’è divisione la gente non vive bene e la città non si sviluppa. Nel corso degli ultimi due anni poi la situazione è ulteriormente peggiorata a causa della pandemia, che ha causato paura, separazione, lockdown, distanziamento sociale ed intolleranze reciproche relative alle diverse scelte terapeutiche dei singoli individui.
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Di fronte a questa situazione un po’ sconfortante, noi crediamo che il primo compito di un’amministrazione comunale sia quello di far di tutto per sanare le ferite, ricomporre le divisioni e ricreare un clima di tolleranza e rispetto reciproco. In una parola ricreare quello spirito di comunità che unisce le persone, le rende liete di vivere nella città e di appartenervi, e può far ritrovare ai piacentini l’orgoglio di esserlo.
Di conseguenza tutto il nostro impegno sarà volto a questo scopo, consapevoli che per ottenerlo sarà necessario porre le persone al centro di ogni progetto, ed agire secondo il buon senso comune, liberi da ideologie e da interessi di parte. È da queste considerazioni che deriva la scelta del nostro motto: LE PERSONE AL CENTRO.
Piacenza Rinasce potenziando la medicina territoriale, vicina alle persone. No agli sprechi, no al nuovo ospedale.
Piacenza Rinasce con la difesa del suolo dalla cementificazione scriteriata e con la tutela del lavoro dallo sfruttamento della logistica.
Piacenza Rinasce e respira con il progetto “Un Albero per ogni Famiglia” e con la cura adeguata del verde pubblico.
Piacenza rinasce con la sua cultura e le sue tradizioni eno-gastronomiche, incentivando il turismo e creando una rete di connessioni solide tra tutti gli attori locali del settore.
Piacenza rinasce in periferia e nelle frazioni con il progetto: "Una piazza per ogni quartiere". Ritorniamo ad incontrarci in sicurezza ed a fare comunità.
La cultura è un’opportunità, anche economica. L’etimologia della parola (dal latino còlere = coltivare, avere cura) ci indica il suo significato, che è appunto quello di coltivare spirito ed intelletto, sia nel singolo individuo che nella collettività. Il frutto che se ne ricava è la civiltà. Ciò che esprime una civiltà sono le leggi, le consuetudini (che diventano tradizioni), le arti, il modo di elaborare il cibo e i rapporti con l’ambiente.
Fare cultura in una città significa, quindi, mettersi in ascolto di ciò che vi accade e di ciò che essa esprime, conoscerne profondamente la storia e le tradizioni, gli usi e costumi e la lingua, in sintesi comprenderne l’anima. Per questo, fare cultura in una città, implica evidenziare e sviluppare ciò che la sua essenza esprime e non solo portare eventi nati altrove, per quanto interessanti possano essere.
Se ci chiediamo qual è l’anima di Piacenza, ci troviamo di fronte alla difficoltà di dare una risposta univoca. Piacenza è città di radici tanto nobiliari quanto contadine, è città di fede (con le sue 500 chiese e monasteri dislocati su tutto il territorio provinciale), è città di una prelibatissima tradizione enogastronomica ed è anche città d’arte e di bellezza. Piacenza è dunque una realtà complessa, dalle molte sfaccettature, ricca di doni ma troppo spesso chiusa e ripiegata su se stessa.
Un’Amministrazione Pubblica che voglia quindi occuparsi seriamente di valorizzare e sviluppare la cultura a Piacenza, deve sostenere tutto ciò che già esiste e creare le condizioni perché qualcosa di nuovo e di attrattivo possa fiorire a partire dalle numerose realtà culturali già attive sul territorio. Per sviluppare al meglio le potenzialità della nostra città, è bene considerare la cultura come anche un’importante risorsa economica capace di alimentare in modo significativo il turismo.
Per arrivare a questo risultato è necessario innanzitutto evidenziare le criticità e le carenze del “sistema cultura” piacentino. Il principale problema segnalato da tutti gli operatori culturali è la mancanza di una “rete” di collegamento che connetta le varie realtà cittadine (musei, conservatori, teatri, associazioni, scuole, fondazioni, etc.), il che porta spesso a confusione e alla sovrapposizione di eventi. L’altra criticità importante e molto sentita è l’assenza di un’efficace attività di marketing e promozione del territorio, capace di comunicare “oltre le mura” le eccellenze piacentine e gli eventi che qui si svolgono.
La rete ed il marketing sono elementi essenziali per lo sviluppo culturale della città e si connettono con le politiche per il turismo, uno dei potenziali vettori dell’economia cittadina. Infine, sarà nostra premura organizzare un grande evento annuale centrato sul tema delle scienze umane che riprenda le passate esperienze dei festival cittadini quali ad esempio “Carovane”, il “Festival del Diritto” e “Omeofestival”. Fondamentale sarà dunque tessere con pazienza questa “rete” e consultare esperti del settore per creare un marchio adeguato sul quale costruire un’operazione di marketing in grado di promuovere l’immagine della nostra città.
Piacenza, città dalle tante sfaccettature e molteplici tradizioni, noi la immaginiamo finalmente ricca di verde, impreziosita dalla cura di palazzi e case, pulita ed ordinata, che non consumi ulteriore terreno agricolo ma che dia nuova vita alle aree attualmente dismesse, che sia sicura e sostenuta economicamente dal turismo e dall’attività manifatturiera, dall’artigianato e dalla piccola e media impresa.
Questa è la nostra visione di Piacenza, questo è l’obiettivo che vogliamo raggiungere. In questa prospettiva un ruolo centrale sarà giocato dal programma urbanistico che dovrà definire gli spazi, sia pubblici che privati, offerti dalla città ai propri residenti e a coloro che vi giungeranno.
L’urbanistica incide su ogni aspetto della qualità della nostra vita: è dal disegno e dalle pianificazioni del territorio che potremo dare un’impronta precisa al futuro della nostra città. Piacenza è città antica che conserva vestigia di diverse epoche storiche, in particolare romana, medievale e rinascimentale. Questi tesori si trovano in prevalenza nel centro storico, che dovrà per questo essere attentamente tutelato e valorizzato attraverso un adeguato piano urbanistico.
Prioritari saranno gli interventi atti a difendere i monumenti e a renderli facilmente raggiungibili attraverso percorsi ad hoc. Un altro importante aspetto sarà la valorizzazione dell’arredamento e del decoro urbano e il recupero delle facciate dei palazzi storici.
Sarà altrettanto indispensabile individuare aree adeguate ad essere trasformate in parcheggi nelle vicinanze della cinta muraria, dotati di opportuni servizi navetta. Particolarmente importante vuole anche essere l’impegno indirizzato alle periferie e alle frazioni, dove lo sviluppo edilizio si è realizzato in modo troppo rapido e spesso caotico con il risultato della nascita di quartieri poco razionali, esteticamente discutibili, carenti di verde e di parcheggi, spesso sovraffollati e poco serviti se non del tutto abbandonati.
Al recupero ed alla valorizzazione di questi aggregati periferici è volto il nostro progetto “una piazza per ogni quartiere ed ogni frazione”. Intendiamo con questo la creazione di spazi di aggregazione destinati anche ad usi originali (ad esempio installazioni artistiche, yoga, eventi musicali, spazi per il coworking e il telelavoro), di aree verdi attrezzate e l’incentivazione all’apertura di bar e ristoranti con tavoli all’aperto.
Proponiamo infine la creazione di “Consigli di quartiere” nei quali le persone abbiano la possibilità di incontrarsi e confrontarsi partecipando a dibattiti su vari temi favorendo così la crescita tanto individuale quanto collettiva
Negli ultimi due anni il settore sportivo è stato gravemente penalizzato dalle restrizioni governative a seguito della pandemia. Ciò ha impedito a molti ragazzi e giovani di praticare uno sport. Le conseguenze negative di queste restrizioni non sono di poco conto poiché, oltre ad averci fatto perdere un’intera generazione sportiva non agonistica, hanno anche negato a tanti nostri giovani di coltivare il sogno di diventare i campioni di domani.
E’ venuta inoltre meno l’importante funzione educativa dello sport nel momento in cui si sono venute a creare palesi disuguaglianze tra i settori agonistici e non agonistici. Prendendo atto di quanto accaduto, le nostre proposte sono volte a intensificare la presenza dello sport nelle scuole.
Uno dei nostri progetti è infatti quello di ampliare le convenzioni tra il Comune e le varie società sportive, garantendo la presenza di propri istruttori nelle scuole affinché i ragazzi e le ragazze possano avvicinarsi alla disciplina a loro più congeniale, potendo anche scegliere tra i cosiddetti sport minori. A tal fine, ove non possibile o sufficiente l’utilizzo palestre scolastiche, si potrà valutare l’accesso agli impianti delle società sportive coinvolte.
In quest’ultimo caso il Comune potrebbe farsi carico del trasporto degli studenti. Nostra speranza è che con una virtuosa collaborazione tra pubblico e privato, sia possibile recuperare almeno in parte ciò che le restrizioni governative hanno tolto ai nostri giovani. Proponiamo inoltre due incontri annuali presso lo Stadio Garilli e l’Arena Daturi dove scuole e centri sportivi organizzino gare a tutti i livelli e per tutte le età̀ per creare un momento di condivisione e socialità tra i nostri giovani.
Il Comune, inoltre, una volta all’anno, organizzerà in Piazza Cavalli un evento dove tutte le attività̀ sportive che non necessitano di attrezzatura (ad esempio scuole di danza, di ginnastica artistica o di arti marziali ), possano partecipare coinvolgendo così tutti i cittadini in un evento di ritrovata socialità.
L’articolo 3 della nostra Costituzione riconosce pari dignità sociale a tutti i cittadini e afferma che è compito delle Istituzioni rimuovere gli ostacoli che impediscono agli individui la partecipazione alla vita sociale.
Punto di forza dunque di una città, è la relazione tra le reti sociali che la compongono e che consentono ai singoli di partecipare alla collettività.
Per lungo tempo la principale causa dell’emarginazione sociale è stata individuata nella mancanza di risorse economiche. Nonostante l’intenso sviluppo economico degli ultimi decenni, alcune “sacche” di povertà hanno infatti continuato a persistere anche nei territori più ricchi. Con il passare del tempo, però, questa povertà si è trasformata in un fenomeno sempre più complesso e al concetto di povertà esclusivamente materiale si è quindi affiancato il concetto di disagio sociale. Diverse sono le “emergenze sociali” che caratterizzano le città e Piacenza non fa eccezione.
Anziani
Gli anziani possono essere considerati i destinatari del maggior numero di interventi e servizi che caratterizzano l’offerta assistenziale. A dispetto della recente immagine stereotipata della popolazione anziana, identificata automaticamente e integralmente come categoria debole, intendiamo valorizzare il contributo che essa è ancora in grado di dare alla collettività, non solo nei termini del prezioso patrimonio di esperienze di vita vissuta ma anche operativamente all’interno delle reti sociali.
Vogliamo quindi:
Famiglie e minori
Le famiglie in condizione di vulnerabilità, soprattutto quelle con minori, rappresentano un’altra criticità nella collettività. Per favorire il processo di inclusione e per il superamento di queste situazioni di disagio economico e sociale, dovrebbero quindi essere attivati interventi di varia natura, tra i quali contributi economici per il pagamento dell’affitto, delle utenze domestiche e degli abbonamenti per i mezzi pubblici dei figli.
Noi crediamo nell’importanza della famiglia e nel suo essere elemento fondante di una società. In caso di situazioni di difficoltà proporremmo quindi varie e concrete iniziative per supportarla e proteggerla, come ad esempio sostegni economici diretti e il coinvolgimento di figure professionali adeguate anche al fine di evitare il più possibile l’allontanamento dei minori dal loro nucleo familiare d’origine.
Per quanto riguarda i minori, il nostro programma prevede la creazione di opportunità di aggregazione giovanile, sia per l’infanzia, con l’apertura di centri ludico-creativi, che soprattutto per la fascia adolescenziale, che ha risentito maggiormente del distanziamento e della compressione della vita sociale. Per questa fascia di età proponiamo dunque, in ogni quartiere e frazione, la creazione di luoghi messi a disposizione per l’aggregazione spontanea in modo tale che i ragazzi ritrovino la voglia di stare insieme e l’opportunità di creare nuovi legami.
Immigrati
Un altro tema con cui le città hanno dovuto confrontarsi negli ultimi decenni è quello dell’immigrazione. Gli stranieri residenti a Piacenza al 1° gennaio 2021 rappresentavano il 19,6% della popolazione.
Questo dato indica che la minoranza straniera non è numericamente trascurabile e nei suoi confronti deve essere attuato un piano di inclusione nella collettività. Proporremmo quindi interventi volti a favorire l’integrazione tra tutti i cittadini, promuovendo il confronto e la conoscenza reciproca tra culture diverse, collaborando all’organizzazione di eventi mirati a favorire la comunanza culturale e incentivando nel contempo l’apprendimento della lingua e della cultura italiana.
Disabili
Uno dei principali ostacoli all’integrazione dei disabili, è il pregiudizio che vede in essi delle persone menomate, con qualcosa in meno rispetto alle altre e quindi fondamentalmente incomplete. Una corretta azione d’integrazione sociale del disabile si fonda invece sul considerarlo a tutti gli effetti una persona completa, la cui totalità è differente ma non inferiore rispetto a quella degli altri.
Questo significa che egli deve essere posto nelle condizioni necessarie per esprimere nella vita sociale tutte le potenzialità e le risorse di cui è portatore. Il nostro impegno a favore delle persone disabili di ogni età sarà dunque quello di contrastare la loro emarginazione, combattendo le situazioni di abbandono, predisponendo percorsi e accessi dedicati e dando concretezza alla loro inclusione sociale attraverso iniziative quali il sostegno ai caregivers familiari e interventi mirati in ambito scolastico, lavorativo, culturale e sportivo.
Malesseri sociali
In questo periodo storico di profonda crisi economica, spirituale, relazionale e sociale, vorremmo inoltre porre l’attenzione su quelle forme di malessere psicofisico che possono riguardare trasversalmente i cittadini di ogni età, sesso e ceto sociale (ad esempio la ludopatia, i disturbi dell’alimentazione, i suicidi, la depressione, etc). Su questi temi delicati crediamo che un Comune debba fare la sua parte, proponendo incontri tematici di sensibilizzazione e realizzando centri di ascolto per supportare chiunque si trovi ad attraversare un momento di difficoltà.
E’ nostra convinzione che l’educazione permanente sia un aspetto imprescindibile per l’evoluzione tanto individuale quanto collettiva e per facilitare il pieno sviluppo della persona umana, in accordo con l’articolo 3 della nostra Costituzione. A tal scopo, nell’ottica di un costante arricchimento sociale e culturale, proponiamo incontri e corsi a tema, differenziati per fascia di età, avvalendosi di esperti. Le varie tematiche, quali ad esempio l’affettività, il senso religioso, la filosofia, la pedagogia, la conoscenza delle proprie attitudini, la sessualità, l’arte e non per ultima una preparazione di consapevolezza economica, dovranno essere affrontate in modo da incentivare il dialogo e il confronto tra pari e rispettando al contempo i ritmi dell’età evolutiva e delle differenze di identità di ciascuno.
La scuola può realizzare un’autentica sinergia con la famiglia e con le altre istituzioni favorendo lo spirito critico e tutte quelle capacità che, insegnando a pensare e a conoscere, costituiscono la vera base culturale, senza la quale ognuno di noi rimarrebbe deprivato di ogni autentica relazione. E’ dunque proprio dalla scuola e dalla famiglia, istituzioni sulle quali si basa il diritto-dovere costituzionale di educare ed istruire le generazioni del futuro, che crediamo fortemente di dover ripartire.
La scuola, inoltre, non è un’azienda. L’ambiente educativo si fonda sulla relazione umana, sullo scambio generazionale, sulla trasmissione diretta delle conoscenze e non può ridursi a una mera logica di produttività economica né di formalismo burocratico. Finalità della scuola è l’educazione integrale della persona in un’ottica di sviluppo continuo di potenzialità. Ciò non significa insegnare solo il valore del denaro e della tecnologia, ma valorizzare l’elevazione culturale e spirituale che porta in modo naturale ad aumentare la consapevolezza di una società.
In un’ottica di libertà di scelta, è necessario avvicinare il cittadino, dal giovane all’anziano, ad un utilizzo consapevole della tecnologia. La digitalizzazione, quindi, non deve essere vissuta in modo oppressivo ed invadente, ma deve rimanere una possibilità. Di conseguenza è necessario percorrere un’altra strada rispetto alla pressione del pensiero tecnocratico e superare la disgiunzione tra scienza e cultura umanistica al fine di creare una nuova saggezza che si basi sulla comprensione che ogni vita è un evento straordinario, inserito in un altro, quello sociale, a sua volta inserito in un’avventura più ampia, quella dell’Umanità.
Quando parliamo di sicurezza deve valere il principio che “prevenire è meglio che curare”. Se non si interviene sulle cause dell’insicurezza percepita e vissuta in città, ma si cerca invece di curare soltanto i sintomi con interventi spesso parziali e temporanei e che non incidono sulle cause, ci si scontrerà inevitabilmente ancora una volta tanto con i limiti imposti dal bilancio comunale quanto con la loro inefficacia sul lungo periodo.
Se è un dato comune che alcune zone della città siano viste come meno sicure di altre e che alcuni orari siano particolarmente critici, la nostra proposta è quella di una sana prevenzione che non comporti costi aggiuntivi ma che incida sul problema alla radice. Dove non c’è socialità si crea insicurezza e infatti in certi quartieri e a certi orari nei quali la presenza dei cittadini è scarsa, l’illegalità ha campo libero.
Far girare pattuglie di controllo è utile ma non basta: se non sono i cittadini a riappropriarsi della loro città per viverla sempre, in ogni luogo e orario, qualcun altro lo farà al loro posto. Aggiungiamo sì agenti nelle nostre vie, però con i cittadini che le vivono: insieme garantiranno la sicurezza del territorio!
Il Sindaco, gestendo la polizia municipale, può con essa dare un segnale forte alla cittadinanza in cerca di sicurezza. E’ innanzitutto fondamentale che tale corpo non venga percepito solo come un semplice erogatore di multe ad ogni minimo sbaglio del cittadino ma occorre rivalutare la figura del “vigile di quartiere”, vero presidio della sicurezza in città. E’ soltanto dunque con un’autentica collaborazione tra cittadini e forze dell’ordine che si potrà rendere la città più sicura.
No al nuovo ospedale.
Sono molte le ragioni di questo rifiuto. La principale è che la sua edificazione risponde ad un modello di sanità che noi riteniamo sbagliato, obsoleto e poco rispondente ai reali bisogni della popolazione. Da molti anni ormai, da quando la sanità ha smesso di essere unicamente servizio pubblico per diventare azienda, l’indirizzo guida per l’offerta sanitaria è diventato sempre più volto al profitto ed alla tecnologia specialistica, mettendo da parte gli aspetti umani relativi alla figura del medico – soprattutto del medico di famiglia – e del rapporto medico-paziente.
Sempre conseguente a questo indirizzo sono la diminuzione dei finanziamenti del SSN da parte del governo, giunti ormai sotto la soglia critica del 6,5% del PIL, ed il sempre più frequente affidamento di servizi medici ed infermieristici a privati e cooperative, tendenza questa che, assieme all’eccessiva enfasi posta sulle tecnologie diagnostiche, ha aperto ormai le porte ad una deriva disumanizzata delle prestazioni di cura.
In questo quadro poco confortante si inserisce il progetto di costruire un nuovo ospedale a Piacenza, in zona decentrata e prevedendo il consumo di circa 160.000 mq di terreno agricolo. Il nuovo nosocomio dovrebbe avere un numero di posti letto equivalente a quello attuale, ma disporre di nuove e più moderne apparecchiature tecnologiche e di un ampio parcheggio, cosa quest’ultima che in effetti manca nei pressi dell’ospedale Guglielmo da Saliceto. Si ipotizza allo stato attuale un costo di 230 milioni di euro (cifra fornita dall’assessore regionale Donini), di cui un centinaio saranno erogati dalla Regione.
I piacentini tuttavia, almeno quelli di età più matura, ricordano bene i costi della ristrutturazione ed ampliamento dell’attuale struttura che, da una stima iniziale di 20 miliardi di lire di spesa arrivò a costarne ben 160. Non è quindi azzardato ipotizzare che l’attuale presunzione di spesa possa lievitare ben oltre il budget inizialmente stimato.
Dove verranno trovati i fondi mancanti? Quali nuove tasse dovranno pagare i piacentini?
Quali costi in più dovranno sopportare in termini di ticket sanitari e di perdita di gratuità di alcune prestazioni? La considerazione forse più importante a favore di un ripensamento di questo progetto è che investire tante risorse in una nuova struttura ospedaliera, per quanto all’avanguardia, alimenta quella visione definita “ospedalocentrica” che ha mostrato tutti i suoi limiti proprio durante la pandemia. Tutti ricordiamo l’ingorgo del Pronto Soccorso con i pazienti in barella parcheggiati ovunque e i reparti traboccanti di ammalati. A porre rimedio a questa situazione insostenibile sono state, oltre alla scoperta di terapie efficaci che hanno reso il decorso della malattia più breve e più favorevole, anche le USCA, cioè quelle equipe sanitarie che finalmente hanno cominciato a raggiungere i pazienti al loro domicilio, iniziando precocemente le cure del caso ed evitando così l’ospedalizzazione. Questa situazione ed il suo evolversi ci hanno ulteriormente chiarito qualcosa che già sapevamo, cioè che oggi la principale criticità della sanità è la carenza di una medicina territoriale diffusa ed efficace.
A questo si aggiunge una carenza ormai evidente di medici e personale sanitario, che fa sì che anche la stessa struttura ospedaliera non possa funzionare al meglio delle sue possibilità. Tutti gli ospedali della nostra provincia che sono stati progressivamente chiusi o demansionati negli anni, sarebbero stati presidi importantissimi durante la pandemia, ma lo sarebbero anche ora per la sanità ordinaria, evitando così il sovraccarico e l’ingorgo dell’ospedale cittadino.
Una ulteriore motivazione al nostro dissenso è legata al progetto di istituzione di un polo universitario di medicina nell’ex Ospedale Militare di via Palmerio. Verrebbe dunque a crearsi una situazione del tutto illogica e forse unica al mondo, per la quale una Facoltà di medicina non sarebbe posta nei pressi o all’interno dell’ospedale di riferimento.
Nell’ottica di offrire una migliore assistenza sanitaria territoriale, ci impegneremo anche nel farci portavoce della necessità di rivalutare la figura del medico di famiglia quale elemento centrale di una riforma del SSN, che lo rendano più attento ai bisogni dei pazienti e vicino alle persone. In Italia l’assistenza sanitaria è un diritto per ogni cittadino e questo fondamentale servizio è erogato dal SSN e gestito a livello regionale.
A livello locale si parla da tempo della necessità di migliorare questo servizio, in particolare di superare le criticità emerse sul territorio negli ultimi anni ed acuite dalla pandemia. Molti provvedimenti attuati dai responsabili di Regione e ASL degli ultimi anni sono stati propagandati come indispensabili con il dichiarato proposito di ottenere da un lato la riduzione di spesa e dall’altro la digitalizzazione dei servizi. Questo binomio (digitalizzazione – spending review), come era prevedibile, si è tuttavia dimostrato fallimentare. Ora, con la digitalizzazione non si sopperisce alla mancanza di medici preparati, ne si accorciano le liste di attesa. Per quanto invece riguarda la riduzione della spesa, è evidente che i tagli non producono effetti benefici sulla qualità del servizio, salvo per i dirigenti impegnati a gestire un bilancio che non tiene necessariamente conto del grado di soddisfazione del cittadino, utente finale del servizio.
Qualche esempio: dalla istituzione delle ASL (1979) i posti letto in chirurgia sono andati progressivamente calando. Negli anni ‘90, esistevano e funzionavano a pieno regime a Piacenza due divisioni chirurgiche ed erano ancora aperte le chirurgie di Fiorenzuola, di Bobbio e di Castel San Giovanni. C’erano in totale oltre 200 posti-letto per la chirurgia, 5 équipes chirurgiche complete che garantivano l’assistenza su tutta la provincia, sia sul territorio che in ospedale. A questo si aggiunga l’offerta di posti-letto privati e convenzionati garantiti dalle varie Case di Cura piacentine. Successivamente, per i tagli alla spesa, i posti letto di chirurgia in ospedale sono arrivati ad essere 13!
Per quei pochi decisi a farsi operare a Piacenza di ernia o colecisti l’attesa può superare un anno!
In altri ambiti, per esempio la medicina specialistica ambulatoriale, la riduzione delle ore messe a disposizione dalla ASL è evidente. Si confronti a tal riguardo le ore disponibili 10, 15, e 20 anni fa e le ore disponibili adesso.
Basterebbe contrattare con la ASL l’aumento delle ore a disposizione e modificare la norma per cui un medico di medicina generale (MMG) non massimalista possa fare anche medicina specialistica al di fuori dell’orario normale (sono molti i MMG con almeno una specializzazione che potrebbero rientrare nel pool di medici specialisti se cadesse questa assurda incompatibilità).
La digitalizzazione non accorcia le liste d’attesa, anzi. Serve principalmente a tagliare le spese del personale amministrativo, salvo poi riversare sui medici di base parte dei compiti che normalmente dovrebbero essere svolti dagli amministrativi. E’ un uso distorto e sbagliato delle risorse umane. Un medico chirurgo, la cui preparazione costa alla comunità centinaia di migliaia di euro viene sotto-utilizzato per fissare e spostare appuntamenti, per controllare parametri, per aggiornare statistiche che servono ai revisori di spesa, per compilare DRG e tabelle di prestazioni dettagliate ma inutili al fine di comprendere i reali bisogni dei pazienti.
Questo argomento introduce la principale fonte di perplessità circa l’assistenza territoriale: “E’ ancora utile avere un medico di famiglia?”.
Se lo chiedono in molti e sono in tanti che, cercando di cavalcare l’onda di disappunto e di indignazione, vorrebbero mandarli a casa, o peggio, trasformarli in medici dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale. Spesso si ignora che i medici di famiglia non sono (ancora) dei dipendenti, ma sono liberi professionisti che aderiscono ad una convenzione col SSN. Questo li mantiene liberi nelle loro scelte e questo è fondamentale per la salute dei cittadini, i quali non hanno giustamente alcun dubbio sul fatto che il proprio medico di famiglia, scelto personalmente e conosciuto magari da molti anni, sia libero da conflitti di interesse. E’ necessario sottolineare il ruolo del medico di famiglia come fiduciario di scelte delicate e importanti, restando libero da qualsiasi conflitto di interesse, autonomo e il più possibile svincolato dalle politiche aziendali. Vediamo invece negli ultimi anni un progressivo atteggiamento invadente da parte delle aziende ASL nei confronti dei professionisti convenzionati che riguarda ogni aspetto della loro attività. Dalla formazione professionale continua, alle pratiche ritenute utili per la collettività (vaccinazioni, profilassi e terapie della malattia cardiovascolare, percorsi diagnostico terapeutici del diabete e delle patologie respiratorie, screening di massa per i tumori del colon e della mammella, ecc). In pratica l’ingerenza delle ASL non avviene solo su temi generali e su protocolli di spesa sanitaria, ma interviene profondamente anche nelle tematiche di preciso interesse medico, come a volere fornire risposte preconfezionate e linee guida uniformi senza tenere conto che esse, a seconda del livello di “certezza” raggiunto con lavori pubblicati in letteratura, sono pur sempre criticabili come dimostrato clamorosamente dalla pandemia. Nonostante ciò si continua da anni in questa direzione e sono pochi i medici che si ribellano a questa imposizione e se si arriverà alla riduzione dei medici di famiglia in dipendenti statali, la partita sarà persa definitivamente, perché nessuno oserà più mettere in discussione i diktat delle regioni e delle ASL.
Di seguito alcune proposte pratiche per migliorare veramente l’assistenza sanitaria locale a Piacenza e potenziare la medicina territoriale:
La promozione turistica che proponiamo per Piacenza dovrebbe:
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Il comparto turistico coinvolge non solo gli operatori diretti (alberghi, ristoranti, etc.) ma tanti settori dell’economia cittadina per i quali può diventare elemento di traino e di sviluppo.
Di seguito le nostre principali proposte:
Piacenza e la Via Francigena
Occorre favorire ed incentivare un sistema di infrastrutture e servizi per una nuova forma di turismo in grande sviluppo: il “turismo lento” (trekking, bicicletta, turismo esperienziale e pellegrinaggi formativi).
Il 2021 ha registrato un forte aumento del turismo lento e questo trend sarà confermato anche negli anni a venire grazie ai fondi messi a disposizione dal PNRR per la candidatura della Via Francigena a Patrimonio mondiale dell’umanità. La Via Francigena si compone di 148 tappe, fra le quali anche diversi comuni piacentini.
Per rendere Piacenza una tappa fondamentale di questo cammino con ricadute positive sul suo territorio, proporremmo di:
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Piacenza e i suoi gioielli Piacenza dovrebbe uscire dalla riservatezza e chiusura che la contraddistinguono mettendo in mostra i propri gioielli, con una serie di iniziative tra cui:
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Altre iniziative
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PMI
La crisi sanitaria ha determinato notevoli ricadute nel sistema economico produttivo piacentino. Dopo un 2021 in ripresa, le PMI si trovano ora a fronteggiare rincari di materie prime ed energia, che impatteranno principalmente sui settori più energivori (meccanico e agroalimentare) e sulle micro e piccole imprese.
Tra il 2011 e il 2020 a Piacenza sono andate perse 3.189 aziende, di cui il 46,6% imprese artigiane (fonte: Osservatorio sull’economia e il lavoro in provincia di Piacenza). Da qui la necessità di attuare una politica in difesa soprattutto delle micro e piccole imprese, delle partite IVA, dei lavoratori autonomi, degli artigiani e in generale di tutte quelle imprese che nascono e crescono nel territorio, che non delocalizzano ma partecipano attivamente allo sviluppo della città creando occupazione.
Ci proponiamo quindi:
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Nel 2020, in media, il consumo di suolo a Piacenza si è attestato al 7,7%, in aumento di 45,8 ettari rispetto al 2019 (+0,23%). Le aree piacentine a maggior consumo di suolo sono il comune capoluogo (24,8%) e le aree attigue, ovvero i centri a più alta densità abitativa (fonte: Osservatorio sull’economia e il lavoro in provincia di Piacenza).
La nostra proposta prevede di fermare il consumo di suolo dedicato alle imprese logistiche, spesso fonte di lavoro poco qualificato che tende a impoverire il tessuto sociale.
Proponiamo invece di potenziare i settori trainanti di Piacenza come le lavorazioni meccaniche, la meccatronica, la produzione di valvole e di raccorderia, imprese queste che faticano a trovare addetti qualificati. La lunga storia di polo logistico di Piacenza ha influito anche sull’offerta formativa di qualifica professionale, rendendo così più difficile per le aziende reperire in zona personale più qualificato.
Le aziende, per restare competitive, necessitano di risorse umane adeguatamente preparate ed è pertanto importante rilanciare percorsi tecnici e professionali di qualità in un’ottica di collaborazione con le imprese, incentivando ad esempio le sinergie tra aziende, l’Università Cattolica ed il Politecnico. Un’ulteriore opportunità per Piacenza potrebbe essere istituire una fiera dedicata ai settori trainanti dell’industria locale (raccorderia e valvole).
Proponiamo infine la creazione di un ufficio dedicato alla ricerca, valutazione e gestione di tutte le forme di finanziamento pubblico (europei, etc.) e privato.
Il commercio è uno degli elementi trainanti per il miglioramento della qualità della vita di una città. Il suo sviluppo è certamente legato anche alla crescita dell’attrattiva turistica e, rendendo più vivo e dinamico l’abitato, contribuisce anche ad una maggiore sicurezza urbana. Questo settore, purtroppo, sta subendo una crisi molto forte su tutto il territorio nazionale.
Gli ultimi due anni hanno poi accelerato e inasprito ulteriormente dinamiche che già erano in atto, come l’avanzata dell’e-commerce a scapito dei negozi fisici, luoghi invece da custodire e preservare anche per il loro ruolo sociale e culturale. Proprio per questo la valorizzazione del commercio piacentino non può essere lasciata solo alle iniziative dei singoli commercianti, ma richiede che tutti gli operatori partecipino ad una visione strategica e comune.
Il commercio deve essere incentivato adeguatamente ad esempio:
Nella seconda metà degli anni ’90, con un progetto del Comune di Piacenza, a Le Mose si insediarono le prime attività logistiche delle aziende IKEA, Piacenza Intermodale e ProLogis.
L’idea originale era quella che Piacenza, per il proprio sviluppo economico, potesse giocare un ruolo importante sfruttando la collocazione geografica di snodo delle reti di trasporto tra Torino, Venezia, Bologna, Genova e Milano.
All’epoca si scelse di provare a governare quello che avveniva in modo spontaneo nei sistemi di produzione dei beni. In Italia si passava dall’industria tradizionale degli anni ‘50/’70, che a Piacenza ha avuto origine con le imprese meccaniche collegate all’Arsenale militare, ai nuovi modelli di “industria diffusa” degli anni ‘80/’90, costituiti da imprese specializzate nei singoli segmenti della filiera (la produzione, l’assemblaggio, la trasformazione e la vendita) in rete tra loro e che domandavano nuove attività di magazzinaggio e trasporto rapido delle merci.
Nel corso degli anni la logistica a Piacenza si è consolidata e espansa ma ha mostrato tutti i limiti e le contraddizioni del modello di economia orientata soprattutto alla massimizzazione del profitto, che ha cercato la compressione dei costi nel magazzinaggio e nei trasporti. Due fattori, strategici più di altri, hanno determinato le criticità attuali:
Entrambe queste debolezze hanno ridimensionato l’ambizione originale del protagonismo di Piacenza nel settore logistico. Più realisticamente, questo ruolo è stato svolto direttamente da operatori privati, che spesso hanno mantenuto i propri centri direzionali altrove e si sono limitati a insediare qui le funzioni logistiche di base.
Due esperienze positive possono costituire invece i punti di forza da cui ripartire:
Vi partecipano ad esempio le città di Ravenna (porto), Bologna (interporto), l’Università Cattolica di Piacenza, il Politecnico di Milano, la Regione e altre università regionali. La logistica, se non è governata, rischia di essere allo stesso tempo strumento e vittima degli effetti negativi della globalizzazione. Le parole chiave pianificazione, rete del ferro, autotrasporto, qualità del lavoro, uso del suolo, che in origine dovevano costituire i pilastri delle politiche pubbliche di settore, oggi ne segnano le maggiori debolezze.
Le criticità
– Pianificazione dei flussi di trasporto
L’idea originale di costruire strutture pubbliche capaci di pianificare i flussi di trasporto, non è mai decollata e ha lasciato ampia discrezionalità alle scelte delle aziende private che hanno mantenuto i propri centri direzionali altrove. Inoltre la debolezza nazionale dei trasporti su ferro, fa si che qui si concentrino le esternalità negative dell’autotrasporto. Rete del ferro Le potenzialità del trasporto su ferro, già strutturalmente debole rispetto a quello su gomma, dipendono dalla programmazione delle tracce di percorso concesse dai gestori delle reti. A Piacenza, l’assenza di una forma di interporto a partecipazione pubblica collegato alle società di gestione delle reti, pone gli operatori locali del settore in posizione subordinata rispetto ai concorrenti ubicati altrove e in particolare presso gli interporti.
– Autotrasporto
L’idea originale della logistica anni ’90 si basava sulla tradizionale presenza di operatori locali dell’autotrasporto. Nel corso degli anni i servizi di trasporto su gomma hanno cambiato volto in modo profondo. Oggi si tratta in gran parte di compagnie, a volte straniere, con personale locale residuale o assente. Gli autisti nei fine settimana vivono il fermo della circolazione sostando spesso in condizioni di emarginazione nei parcheggi del polo logistico.
– Qualità del lavoro
Le dinamiche di esternalizzazione della manodopera nei magazzini e le condizioni lavorative sono note dalla cronaca. Le tensioni del settore spesso esplodono in manifestazioni conflittuali non ancora risolte. Questo tipo di lavoro, pur dando risposte numeriche all’occupazione locale, è caratterizzato da bassa qualità con livelli di accettabilità sociale prossimi alla sopravvivenza.
– Uso del suolo
Piacenza e molti comuni della pianura hanno deciso che migliaia di ettari di terreni agricoli venissero trasformati in aree logistiche. E’ avvenuto sempre in modo pianificato senza però la cautela che le aree pianificate fossero completate prima di dar corso a nuove urbanizzazioni. In questo modo le costruzioni sono sorte a macchia di leopardo e oggi molte aziende sono attive ma a fianco hanno cantieri in corso. E’ l’effetto caotico e degradato degli ambienti che si coglie recandosi in quei luoghi. Le recenti crisi finanziarie del mercato immobiliare inoltre hanno dilatato i tempi di completamento dei poli logistici con gli evidenti effetti negativi sul paesaggio, sull’ambiente e sui luoghi di lavoro.
Le nostre proposte per la rinascita del rapporto tra la città e la logistica
Vogliamo far rinascere a Piacenza una nuova idea di logistica, basata sulla centralità della persona, sia essa direttore del settore movimento di un’impresa, dirigente di agenzia interinale di manodopera, autotrasportatore, magazziniere, ricercatore del settore o amministratore pubblico.
Vogliamo riprendere le parole chiave della crisi e ricomporle tra loro accettando la sfida della transizione ecologica della logistica, solo se questo paradigma garantirà il mantenimento della dimensione umana della persona che lavori in ogni livello nel settore. Per gli investimenti necessari vogliamo utilizzare le risorse del Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza destinate alla transizione ecologica e alla mobilità sostenibile.
Per primo l’Uso del suolo: consideriamo il nostro territorio saturo di logistica e non vogliamo più che si trasformino i preziosi terreni agricoli in aree logistiche. Stop dunque al consumo di suolo. Le nuove attività potranno insediarsi solo nelle aree pianificate già avviate e in corso di costruzione. In più vogliamo realizzare boschi di pianura nelle aree verdi dei poli logistici, per attenuare gli effetti negativi delle emissioni del trasporto su gomma.
Per secondo, uniremo Pianificazione dei flussi di trasporto e Rete del ferro: vogliamo che il nodo piacentino del ferro si integri con interporti a partecipazione pubblica, per entrare nel circuito nazionale degli interporti. Lo vogliamo fare operando in stretta collaborazione con le imprese locali e con la politica nazionale. I punti di forza da cui partire sono la valorizzazione dell’Istituto Trasporti e Logistica e della presenza piacentina di Hupac.
Per terzo, uniremo Autotrasporto e Qualità del lavoro: vogliamo realizzare un Hub di servizi per l’autotrasporto in grado di offrire agli autisti un luogo umano dove poter trascorrere i periodi di non lavoro. Sfruttando la nostra posizione geografica siamo convinti che questo Hub possa offrire gli stessi servizi anche a chi transita sulle autostrade e si trova di passaggio a Piacenza. La collaborazione tra pubblico e privato potrebbe generare flussi di entrate che coprano i costi di gestione.
La qualità del lavoro dentro ai magazzini richiede una nuova attenzione della politica che non lasci alle agenzie interinali l’unico spazio di relazione possibile tra l’azienda logistica e il lavoratore. Vogliamo partire dal contatto diretto tra l’Amministrazione comunale e chi dirige le aziende di logistica e quelle interinali, chiedendo loro di essere con noi parte di un nuovo modello di relazioni che si prenda cura di tutte le persone occupate nel settore.
Infine, per ciò che rappresenta la logistica a Piacenza, vogliamo che tutto il Consiglio comunale sia protagonista nel governare questa transizione e quindi istituiremo una specifica Commissione consiliare, chiamando tutte le forze politiche a parteciparvi. La Commissione si informerà dello stato di avanzamento delle costruzioni, dei nuovi finanziamenti e progetti pubblici, dei modelli di qualità del lavoro e del possibile sviluppo del polo piacentino del ferro.
Uno dei problemi del Centro storico ancora da risolvere è quello dei parcheggi. In più è aperta da tempo la questione di Piazza Cittadella: non è ancora stata infatti trovata la sintesi tra chi vorrebbe scavare lì il parcheggio interrato e chi è invece contrario a questa soluzione, reputandola troppo invasiva per il centro storico e per le probabili tracce archeologiche presenti.
Noi proponiamo una soluzione diversa, che dia più risposte al tema dei parcheggi. La nostra idea è quella di lavorare sull’area di Viale Sant’Ambrogio dove oggi è situato il parcheggio per i pendolari.
Il nostro progetto prevederebbe di acquisire l’area a nord della ferrovia, di fianco alla centrale elettrica, accessibile dalla tangenziale nord e lì realizzarvi un ampio parcheggio gratuito destinato ai pendolari. Inoltre vogliamo studiare, insieme alle Associazioni di pendolari, la miglior soluzione e le regole d’uso di questo nuovo parcheggio. Per poter accedere alla stazione da questa area, sarà necessario prolungare i sottopassi pedonali della ferrovia a partire dall’ultimo binario passeggeri. Completate queste opere si potrà quindi costruire un lungo parcheggio multipiano a servizio del centro storico sull’attuale area di viale Sant’Ambrogio.
Per accedere al centro si potranno utilizzare sia i percorsi pedonali di oggi, valorizzando i negozi e le attività commerciali, sia i bus che transitano su viale Sant’Ambrogio, diretti al centro. Piazza Cittadella, proprio grazie a questo progetto e con il coinvolgimento della Soprintendenza, potrebbe finalmente essere valorizzata in modo adeguato grazie ad un restauro che la faccia dialogare armonicamente con Palazzo Farnese e con l’Arena Daturi.
Per realizzare queste opere intendiamo utilizzare le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e in particolare quelle destinate alla riqualificazione urbana e alla mobilità sostenibile. Nei nuovi parcheggi potremo infatti valutare l’installazione di pannelli fotovoltaici, di colonnine per la ricarica delle auto elettriche e delle attrezzature per lo scambio auto/bici.
Piantare un albero per ogni famiglia di Piacenza: è questo il nostro principale progetto sul verde urbano che pone la famiglia al centro della vita della comunità. L’albero ha radici, cresce e si sviluppa, dà ossigeno, offre la sua bellezza, dona gratuitamente il proprio riparo, racconta la propria storia ed è un punto fermo di riferimento per il futuro.
Come tanti alberi formano un bosco, tante famiglie formano una comunità. Come gli alberi vicini tra loro crescono meglio, così le famiglie, unite e in relazione tra di esse, rafforzano la comunità a cui appartengono. Come dopo un incendio occorre ricostruire il bosco, dopo le crisi finanziarie e sociali più recenti, occorre ricostruire la comunità.
Per questi motivi, oltre che prendersi cura delle famiglie della comunità, il nostro progetto vuole che si piantino nuovi alberi in città. Ci sono molti luoghi che li possono ospitare: i parchi urbani, le aree verdi di quartiere e quelle delle frazioni, le aree verdi nei parcheggi pubblici delle zone commerciali o industriali, le fasce di rispetto della tangenziale e quelle delle autostrade. Per realizzare il progetto sarebbe opportuno coinvolgere gli specialisti presenti sul territorio (gli ordini professionali degli agronomi, i forestali, gli istituti tecnici e professionali di agraria e l’università) per trovare le soluzioni adatte anche all’ambiente urbano, che abbiano bassi costi di impianto e di gestione e che favoriscano lo sviluppo della biodiversità.
Diversi aspetti andranno affrontati:
A tal fine sarà necessario riorganizzare anche gli Uffici comunali con una nuova struttura che si occupi di tutti gli aspetti e di tutte le fasi dell’attuazione del progetto. Piacenza ha anche un bel sistema di verde monumentale che circonda le Mura del centro storico ma, ad oggi, non è valorizzato come meriterebbe.
In questo caso vogliamo che il “Piano del verde urbano”, nella parte che tratterà del Parco delle Mura, sia sviluppato con il coinvolgimento diretto della Soprintendenza di Parma, per studiare assieme come rendere questo luogo, unico e ricco di storia, più accessibile ai frequentatori e ai visitatori. Inoltre, con gli operatori economici del settore, vorremmo valorizzare l’evento Forestalia che vede già presente a Piacenza Expo l’edizione nazionale del Salone Agroforestale, che potrà così estendere la propria sfera di attività anche ai temi della progettazione e gestione del verde urbano, sia moderno che monumentale.
Ulteriori nostre proposte sono quelle di:
Per attuare il “Piano del verde urbano” utilizzeremmo sia le risorse che la Regione ha dedicato al progetto di forestazione urbana avviato nel 2019, che quelle del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destinate ai temi della transizione ecologica nelle città.
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